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Visualizzazione dei post da luglio, 2017

La mia personale riscoperta del Pinot Grigio

Devo ammetterlo: il Pinot Grigio è un vino che ho deliberatamente sottovalutato, reconditamente bistrattato, forse anche poco capito; in poche parole non me lo sono mai del tutto filato. Occorre anche dire che sono sempre stato in buona compagnia visto che trattasi di un vino che ha avuto un discreto successo negli anni ’80 sia in Italia che all’estero, per subire negli anni successivi un continuo e inesorabile declino a favore di altri vitigni più di moda. E’ nato tra Francia e Germania, ma si è ben acclimatato sia in Italia che in Alsazia, Oregon e California, dove a metà degli anni ‘90 ha avuto una sensibile impennata di popolarità tra i produttori prima e tra i consumatori poi, fino ad arrivare ad essere il vitigno più coltivato e il vino più venduto. E’ finito quindi di diritto tra i cosiddetti vitigni internazionali come Pinot nero, Merlot, Syrah, Chardonnay, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Sauvignon Blanc e alcuni altri che potremmo considerare minori, ma pur

Saper interpretare un territorio: Albino Armani e il suo 823 Metodo Classico

Albino Armani fa parte di diritto nella stretta cerchia delle cantine italiane che pensano al vino a 360 gradi, quindi non solo come massimizzazione del profitto ma anche come territorio da valorizzare, attraverso un concetto di estetica che si intreccia inevitabilmente con il rispetto dell’ambiente e delle persone. Il progetto è ambizioso, ma quando si hanno le idee chiare diventa tutto più facile e per Albino Armani la ricetta consiste nel non lasciare nulla al caso, ma all’opposto avere una attenzione e cura per ogni aspetto che riguarda la cantina o che ruota intorno ad essa o ne è parte integrante. Il tutto parte da una filosofia enologica ben definita che lo porta a produrre anno dopo anno vini territoriali, senza forzature, in cui puoi riconoscere un territorio di appartenenza ben definito. Ne è un esempio il Foja Tonda, vitigno per anni dimenticato a favore di varietà internazionali più richieste dal mercato, in cui Albino Armani ha saputo credere anche per fa

Produttori del Barbaresco: la cooperativa che riesce sempre a sorprenderti annata dopo annata

Tutti sanno che il Nebbiolo trova la sua massima espressione sulle dolci colline langarole ed in particolare sui terreni composti di argilla calcarea tipici della sponda destra del Tanaro. In particolare la zona del Barbaresco, contenuta nei comuni di Barbaresco, Treiso e Neive, merita una particolare attenzione, sia per un rapporto qualità-prezzo molto invitante, sia per una espressione del vitigno Nebbiolo meno 'impegnativa' rispetto al suo scomodo vicino di nome Barolo. Ma basta tornare indietro di 30 anni per scoprire che la situazione non era molto simile a quella odierna. La macerazione insistita, eccessivamente prolungata ed un invecchiamento interminabile in grandi botti di rovere consegnavano un vino che spesso era pesante e già piuttosto maturo all'apertura della bottiglia. Quindi gli anni 70 e 80 hanno visto una produzione di Barbaresco molto tannico, dotato di eccessiva potenza e poco equilibrio; poi l'avvento di un pubblico che ricercava più l&#

Il Sassella Valtellina superiore di Nino Negri

La Valtellina, terra di rossi longevi a base Nebbiolo, è strettamente imparentata con la tradizione enologica piemontese, con l’eccezione morfologica di altitudini in media più elevate, tanto che qui si può tranquillamente parlare di viticoltura di montagna o viticoltura eroica, per la totale assenza di assistenza meccanizzata nei lavori in vigna. In questo panorama vitivinicolo, la sottozona Sassella è la più storica e vocata per la produzione di vino di tutta la Valtellina. L’età media delle viti è particolarmente alta e la raccolta delle uve fatta a mano si sussegue lungo i chilometri di terrazzamenti fatti con muretti a secco tenuti in religioso ordine dai contadini-produttori. Come dicevamo il Nebbiolo fa la parte del padrone di casa, anche se in taluni casi possono infilarsi altre varietà locali che non superano mai il 5%. In questo contesto opera un produttore di medio-grandi dimensioni, come Nino Negri, che pur facendo parte della galassia Gruppo Italiano Vini,

Il Refosco dal peduncolo rosso di Volpe Pasini (annata 2014)

ll miglior modo per valorizzare un territorio in ambito vitivinicolo è quello di coltivare vitigni autocnoni, quindi l'uva che per ragioni storiche e pedoclimatiche si è meglio adattata ad un certo territorio e che riesce a dare il meglio della sua produzione quasi esclusivamente in quella zona. E il Friuli Venezia Giulia, accanto alle adattabili uve internazionali, ha da sempre puntato moltissimo sulle varietà autoctone, come ribolla gialla, friulano, verduzzo, malvasia istriana tra i bianchi e refosco, tazzelenghe, schioppettino, raboso tra i rossi. Tra questi ultimi non nascondo una certa simpatia e predilezione per un vitigno dalla lunga storia come il Refosco dal Peuncolo Rosso, un vitigno molto coltivato in Friuli, dove raggiunge ottimi risultati in particolare tra il Tagliamento e Livenza, nei terreni argillosi e pesanti tipici di questa area alluvionale. Al tempo dei romani era già coltivato e apprezzato nella zona di Aquileia, cittadina fondata nel II secolo a

L'Austria di Jager (Wachau) beve Gruner Veltliner e Riesling

L’Austria del vino ha saputo crescere negli ultimi anni, soprattutto sui vini bianchi, puntando tutto sulla ricerca quasi ossessiva della qualità. E’ stata una scelta che ha portato i suoi frutti soprattutto sul mercato interno, dove è quasi difficile trovare in giro bottiglie di ottimi bianchi dei produttori più conosciuti a prezzi non certo economici. Diverso il discorso per i produttori di dimensioni più piccole o meno conosciuti che, rispetto ai primi, hanno un rapporto qualità-prezzo decisamente più abbordabile. Tra i vitigni bianchi più coltivati e conosciuti la parte del leone la fa il Gruner Veltliner, che ricopre quasi il 30% della superficie vitata, seguito a debita distanza dal Riesling e da qualche altro vino bianco autoctono. E se si parla di Austria e di vini bianchi non si può non citare la bellissima valle di Wachau, Una valle che sembra uscita dalle fiabe, a circa 80 km da Vienna, che insegue lo scorrere lento del Danubio, con vigneti situati su terraz

Brunello di Montalcino di Podere La Vigna, annata 2010

A Montalcino, a differenza che in altre importanti regioni del vino italiano (vedi Barolo), le due anime che vedono contrapporsi i tradizionalisti e i modernisti (o innovatori) hanno saputo trovare una visione unica e condivisa sul futuro della loro denominazione. Dalla nascita del Brunello nel 1968 le bottiglie prodotte sono andate via via aumentando partendo da 13.000 a circa 9,1 milioni di bottiglie. Una crescita esponenziale, quasi senza precedenti, cresciuto sulle solide basi di un territorio unico ma che ha saputo anche innovarsi e crescere nel marketing e nella commercializzazione in mercati emergenti. Tra i progetti innovatori la recente nascita della Fondazione Brunello di Montalcino, espressione del Consorzio ma con una gestione autonoma, con l’obiettivo di finanziare progetti di sviluppo sul territorio, dal turismo al recupero e restauro di beni artistici e culturali. Il contributo volontario dei produttori permetterà la raccolta di fondi che saranno poi destinat

Viaggio tra i vitigni autoctoni rari: il Casetta

La lunghissima Val d’Adige diventa nelle sue propaggini meridionali la Vallagarina. E’ una valle dalle pendenze degradanti tra Ala e Avio, ricoperta di vigneti che si adagiano ai piedi del Monte Baldo e della Lessinia. E’ una terra fertile, che conosce l’influenza delle montagna che degrada verso la pianura, del corso imponente dell’Adige e del non lontano Lago di Garda. Anche se non paragonabili alle valli dell’Alto Adige, le escursioni termiche sono comunque ben presenti, mentre i terreni variano di molto la loro natura passando dalla trama morenica a quella alluvionale. In questo territorio di mezzo, viene coltivato il vitigno autoctono Casetta, praticamente sconosciuto ai non addetti ai lavori o agli abitanti del territorio in cui è coltivato. Un vitigno dal potenziale a mio avviso esplosivo, ancora coltivato fino agli anni ’70, mentre negli anni successivi è stato praticamente abbandonato a favore di varietà più richieste e più produttive. Molte delle viti di Casetta